- Oggetto:
Test umanistici sulla biophilia hypothesis. Gli spazi della vita fra campo, emozione e poesia
- Oggetto:
Anno accademico 2010/2011
- Docenti
- Alberto Pelissero (Coordinatore)
Tiziana Pontillo (Coordinatore) - Corso di studio
- Studi indologici e tibetologici
- Anno
- 1° anno, 2° anno, 3° anno
- Tipologia
- --- Nuovo Ordinamento ---
- Crediti/Valenza
- 2
- SSD attività didattica
- L-OR/16 - archeologia e storia dell'arte dell'india e dell'asia centrale
L-OR/17 - filosofie, religioni e storia dell'india e dell'asia centrale
L-OR/18 - indologia e tibetologia - Erogazione
- Tradizionale
- Lingua
- Italiano
- Frequenza
- Obbligatoria
- Tipologia esame
- Relazione finale
- Oggetto:
Sommario insegnamento
- Oggetto:
Obiettivi formativi
Con la pubblicazione di Biophilia. The human bond with other species (1984), il massimo esponente della sociobiologia, E.O. Wilson, implicitamente rilancia la tematica del gene egoista attraverso la formulazione di un’etica della conservazione.
Assunto cardine della biophilia hypothesis è che il “legame umano con le altre specie” sia un universale geneticamente codificato, di centrale portata nel processo evolutivo e funzionale all’adattamento della specie homo all’ambiente circostante.
Se l’adozione di paradigmi neo-darwiniani in seno al pensiero antropologico si fa movente di critica alla stessa nozione antropologica di “cultura”, negativamente concepita come un prodotto dell’Umanesimo, pare opportuno segnalare che studiosi di scienze naturali quali Wilson e Kellert, al fine di rafforzare la rilevanza etica della propria impresa ambientalista, si avvalgono dell’esperienza scientifica degli antropologi culturali. Mentre, sulla base dell’etologia comparata, ci si può, eticamente e provocatoriamente, domandare se davvero l’uomo abbia necessità di una disciplina tutta per sé, occorre sottolineare che, in ambito squisitamente biologico e dunque professionalmente neo-darwiniano, la biophilia è ritenuta come la gran parte degli aspetti che rendono unica la nostra specie, una tendenza genetica debole e fortemente dipendente dall’acquisizione e dal supporto sociale al fine di manifestarsi in maniera funzionale. Ovvero, senza un proficuo training di matrice culturale, l’innata tendenza alla connessione con la creazione rimane latente e si atrofizza.
Nell’urgenza di definire l’ “unità della conoscenza” (Wilson, 1998), si rende, in sintesi, evidente l’importanza dell’antropologo, ed, in senso più esteso, dell’umanista, come proponenti di un sapere acquisito mediante il contatto con manifestazioni culturali incentrate, nelle loro varie sfumature, in un rapporto simbiotico e relazionale con l’alterità specifica e simultaneamente la necessità di dar voce a sistemi e modalità di pensiero alternativi a quella razionalità discorsiva, per certi versi, tipica dell’atomizzazione del sapere occidentale e notoriamente estranea alla sintesi della complessità dell’esperienza.
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Programma
Discussant: Prof. P.G. Solinas
Carlo Maxia (Università di Cagliari): Culture umane e culture animali: l’istinto della ragione
Danila Cinellu: Ritorno al dionisiaco come atto fondativo di una scienza post-moderna.
Il pessimismo trascurato dell’antropologia positivista*
Moreno Dore: Lo ṛtá e il cosmo: le divinità, il rito e il ruolo dell’uomo
*Comunicazione nell’ambito del progetto di ricerca Oggi si chiama biophilia hypothesis. Uno studio sul totemismo nell’opera di Jane E. Harrison, finanziato con Legge Regionale 7 Agosto 2007, n.7
Testi consigliati e bibliografia
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Note
LUNEDĺ 9 MAGGIO 2011
15,00-20,00
Aula 10 A
Università degli Studi di Cagliari - Facoltà di Lettere e Filosofia - Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze Umane
- Registrazione
- Aperta
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